W LE FORZE DELL’ORDINE

per una volta, invece di organizzare marce in favore dei migranti, sarebbe bello se ne facessero una per noi poliziotti” (il Giornale – 20/05/17). Con queste parole un Poliziotto ha commentato la marcia “antirazzista” svoltasi a Milano lo scorso 19 maggio e che ha suscitato l’ampio consenso della quasi totalità dei media e, apparentemente, di vasti strati dell’opinione pubblica. L’amaro commento del rappresentante delle Forze dell’Ordine non può che essere condiviso anche oggi, a distanza di poco più di un mese, meditando sulle conseguenze dell’approvazione di quel “pasticcio giuridico” chiamato legge n° 2168-B/17 che introduce il reato di tortura nell’ordinamento italiano, prevedendo specifiche aggravanti se l’atto viene commesso da un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni. Spieghiamo la “stranezza” del provvedimento con alcuni esempi/osservazioni.

1° – Lo stupratore che violenta una donna rischia una condanna fra i 5 ed i 10 anni (6 – 12 se la vittima è minorenne). Il poliziotto che, per farlo confessare, gli “rifila una sberla” può essere condannato ad una pena variabile dai 5 ai 12 anni; l’eventuale ecchimosi prodotta dalla “sberla” costituisce un’aggravante punita con un aumento di 1/3 della pena. In pratica, l’ematoma dello stupratore viene considerato “decisamente più debilitante” dei danni fisico-psichici prodotti in una donna che ha subito una violenza.

2° – La Legge punisce, con le stesse pene, anche l’eventuale “… verificabile trauma psichico inflitto a una persona privata della libertà personale … che si trovi in condizioni di minorata difesa …, se il fatto è commesso mediante più condotte ovvero se comporta un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona”. Tenuto conto delle difficoltà legate alla verificabilità del trauma psichico e della sua derivazione dalle cause disciplinate dalla legge, è opportuno che, per il futuro, le Forze dell’Ordine conducano i propri accertamenti sotto l’occhio vigile di telecamere che ne certifichino inequivocabilmente l’atteggiamento cordiale e disponibile; uno sguardo severo o un po’ truce potrebbe essere scambiato per un tentativo di intimidazione traumatizzante.

3° – Viene vietata l’estradizione “di una persona verso uno Stato, quando vi siano “fondati motivi di ritenere che essa rischi di essere sottoposta a tortura”. Sulla base delle denuncie presentate da varie Associazioni umanitarie (le stesse che marciano a favore dei migranti) in molti paesi mediorientali o africani i “diritti umani” non vengono garantiti neppure ai liberi cittadini, figurarsi ad un eventuale ospite delle carceri locali. In quest’ottica quali e quante saranno le possibilità di poter rimpatriare eventuali jihadisti/iman sospettati di svolgere opera di proselitismo?

In sintesi, sembra veramente difficile togliere l’etichetta di “pasticcio giuridico” affibbiato alla legge sulla tortura, ma è opportuno chiudere con un’esortazione: siamo fiduciosi, sicuramente la “approvanda” legge sullo jus soli ci farà dimenticare quest’obrobrio!

Roberto Giacalone

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