FUORI TEMPO MASSIMO

Fuori tempo massimo illustrazione

Parlano tutte (e tutti) senza più vergogna, e con indomita audacia accusano i molestatori (una volta) potenti e temibili. Solo che lo fanno dieci, quindici, vent’anni dopo i fatti; e la maggior parte di loro si scopre impavida per essersi accodata a qualcuno che ha già trovato il coraggio di farlo; dopo aver beninteso aspettato di non aver più nulla a che fare con l’orco in questione, e che siano abbondantemente trascorsi i termini temporali perché la questione non possa più trasferirsi dalle pagine cartacee o virtuali alle ben più serie aule dei tribunali.

Lo scandalo delle molestie sessuali, che ha raggiunto proporzioni mondiali e si sta spostando dal mondo dello spettacolo a quello della politica, rivela il dilagare della pochezza morale, travestita da rigore etico. Se infatti è vero che le molestie, come qualsiasi altro tipo di abuso, rappresentano un fatto grave, deprecabile e degno di punizione, è altrettanto vero che il denunciarle fuori tempo massimo, per così dire, non costituisce alcun titolo di merito. Piccolezza quella di chi frigna ad un microfono due o tre o quattro lustri dopo i fatti, e piccolezza ancor più meschina quella di chi fa di costoro degli eroi; eroi speciali che non rischiano nulla.

Fin qui però, tutto molto ovvio, quasi lapalissiano. Un po’ meno la conseguenza che se ne desume, e che vale per tutti noi, nel momento in cui tale comportamento, solo qualche anno fa destinato a venir archiviato come “miseria umana”, trova oggi risonanza ed esaltazione, meritandosi il plauso di drappelli d’intellettuali (più o meno autodefinitisi tali) tallonati da battaglioni di fidi seguaci, entusiasti di sentirsi, una volta di più, dalla parte della ragione. La qual “ragione” prevede dunque che, di fronte ad un fatto condannabile, il giudizio diventi una variabile non del fatto stesso, ma della categoria di appartenenza di accusato e accusatore. L’accusatore è donna? Sarà da considerarsi sempre attendibile e motivata, anche se, di fatto, si accanisce contro chi non è più in grado di nuocere. Viceversa, se viene accusata da un uomo, occorrerà procedere ad una rigorosa analisi di fatti e pensieri per comprendere le motivazioni socioculturalpsicoemozionali che potrebbero averla costretta a qualche comportamento apparentemente non appropriato. Inutile specificare che l’accusato uomo dovrà venir sempre e comunque valutato preventivamente colpevole e poi subdolo, ingannatore, violento, ipocrita e chi più ne ha più ne metta.

Per amor di patria e di molto altro tralascio di estendere una simile (dis)logica ad altre categorie, ma insomma ci siamo capiti. La società torna a dividersi in caste: di qua i belli, buoni, puliti e onesti; di là gli sporchi, brutti e cattivi. È cambiato solo il contenuto: il contenitore resta lo stesso, invariato dai tempi di vassalli, valvassini, valvassori e servi della gleba. Diderot, Rousseau, La Fayette, mi dispiace per voi. Nemmeno tantissimo, però.

Patrizia Rossetti

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