La guerra di un uomo tranquillo

Copertina recensione IL LIBROLetteratura di guerra, letteratura di prigionia, che pur non toccando vertici narratividi grande rilievo, pur si raccomanda ad unalettura attenta per informazione e per avere materia di riflessione, magari ulteriore, se già si è orientati in questa direzione – per così chiamarla. Un tassello, un altro tassello, un altro ancora, elementi individuali che concorrono a costruire un ampio mosaico: dalla piccola storia alla Storia vera e propria, dunque, come diceva Giulio Bedeschi a proposito dei suoi volumi all’insegna del “C’ero anch’io” (Mursia editore): “Zio Mario/ Ho sempre chiamato così il marito di Graziella, la sorella più giovane di mia madre. Un uomo bello e signorile che mi aveva fotografato appena nato, prima di partire per la guerra, e che mi aveva conquistato con il suo modo di fare al ritorno dalla prigionia…”.

È questo l’incipit di “La guerra di un uomo tranquillo 1930-1945 – Diario e fotografie del capitano Mario Andreatti – 56. Rgt Marche” (Imprimenda Editrice Padova; pagine 445; Euro 25,00) curato da Pietro Boninsegna dopo aver trovato, alla morte della zia Graziella, carte e fotografie varie del marito ex combattente ed ex internato militare italiano nei lager nazisti dopo l’8 settembre 1943, insieme a Giovannino Guareschi e ad altri personaggi quali il tenente di vascello Giuseppe Brignole e il tenente colonnello Pietro Testa. Mario Andreatti, nativo di Castelfranco Veneto (1909), poi vissuto fra Venezia e Cavarzere, morì nel 1996, dopo avere condotto una vita da civile senza clamori e senza reclami di riconoscimento per la scelta compiuta dopo l’8 settembre 1943, scelta che comportò per gli Internati Militari Italiani, come sappiamo, sofferenze indicibili, e per le quali in seguito nulla avrebbero chiesto. Ma è qualcosa di più di un diario, questo volume con più di quattrocento fotografie scattate dal protagonista, perché il curatore, al di là di un’operazione valida dettata dall’affetto familiare, ha voluto inquadrare queste pagine in un più ampio contesto di eventi di ieri e di oggi – di oggi, nel senso di andare di persona, come visitatore, nei luoghi dove lo “Zio Mario” aveva combattuto e aveva sofferto freddo, fame, come nell’episodio delle quattro gallette quotidiane annotato nel suo diario dallo stesso Giovannino Guareschi. Insomma si ripercorrono, attraverso queste pagine, le tappe di un’esistenza esemplare di un uomo vero, di un cittadino probo, di un militare col senso dell’onore, e di un pacifico professionista (Andreatti era ragioniere) diventato ufficiale del 56° Reggimento Marche, e le note del Boninsegna servono ad avere una idea ampia e articolata, completa, di quel periodo e di quei luoghi, di quegli eventi e di quei personaggi, maggiori e minori.

Dal corso allievi ufficiali dell’Andreatti a Moncalieri a Venezia, a Strigno, a Contursi, e poi ecco il fronte albanese e jugoslavo, i campi di concentramento nazisti fino a Sandbostel e Wietzendorf, dove si trovò internato insieme a Giovannino Guareschi, per l’appunto. E le notazioni di Andreatti, avverte il curatore del volume, coincidono perfettamente con quelle dello scrittore della Bassa. Le pagine di diario del protagonista sono telegrafiche in riferimento al corso ufficiali, ma si ampliano, prendono maggior corpo, per così dire, man mano che l’esperienza in grigioverde prosegue: in guerra e in prigionia. Di particolare interesse è la narrazione della resistenza opposta ai tedeschi all’indomani dell’8 settembre, per impedire l’occupazione del porto di Ragusa, in cui rifulgono figure di notevole spessore morale, come il generale Giuseppe Amico, proditoriamente catturato e fucilato dai nazisti. Sono pagine scritte con immediatezza, senza enfasi, ma pure con partecipazione di chi visse e soffrì quelle situazioni. Un altro importante tassello, insomma, nell’ampio mosaico di guerra e prigionia: in questo caso apposto da un esemplare ufficiale che era un uomo tranquillo. Un caso personale emblematico di una storia più ampia, poco conosciuta a livelli di grande pubblico, soprattutto quello dei giovani, ai quali si comunica, si insegna spesso quel che fa comodo agli ideologi e ai politici schierati in una maniera ben determinata. In fin dei conti, se gli IMI non facevano comodo ieri, cioè a guerra finita, ancora meno lo fanno oggi, in un clima, peraltro, di memoria storica carente a tanti, (troppi) livelli.

Giovanni Lugaresi

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