Noto (SR): tutti contro Emanuele Filiberto. Il paradosso.

Emanuele FilibertoLe cannonate ai manifestanti di Milano nel 1898? Colpa sua. Lo scoppio della Prima Guerra Mondiale? Colpa sua. Come del resto l’ascesa del Fascismo e la proclamazione delle leggi razziali. Di queste e di altre nefandezze storiche, secondo quanto ha riportato Il Fatto Quotidiano, seguito da diverse altre testate giornalistiche italiane, sarebbe responsabile (o magari corresponsabile) SAR il Principe Emanuele Filiberto – classe 1972, si badi bene. Questo secondo l’Anpi, Sinistra e Libertà e altre formazioni civiche di Noto, la cittadina in provincia di Siracusa nella quale il Principe dovrebbe essere testimonial della celebre “Infiorata” di via Nicolaci, in programma per il prossimo 14 maggio. In nome di questa fantomatica “colpevolezza dinastica” l’incredibile polemica è sfociata nientemeno che in una petizione presentata al sindaco Corrado Bonfanti, perché ad Emanuele Filiberto venga proibito di mettere piede a Noto, come un “indesiderabile”. Allergia alle dinastie, regnanti o meno, in nome di un tanto “democratico” quanto intollerante egualitarismo? Non troppo, visto che nella seduta del 15 marzo 2014 il consiglio comunale di Noto conferì la cittadinanza onoraria, con tanto di menzione nell’albo d’onore e pergamena-ricordo, a don Pedro di Borbone, principe delle Due Sicilie e Orléans; menzionato anche come duca di Noto, per quanto la Repubblica Italiana non riconosca alcun titolo nobiliare. Si ricordano quindi le vittime nei moti di Milano, ma ci si dimentica di quelle cadute nelle rivolte della Sicilia contro i Borbone. Qualunque sarà l’esito dell’anacronistico scontro, al momento ancora sconosciuto, certo è che dietro a questa ribellione alla semplice presenza di Emanuele Filiberto in una città italiana non sembrano stare né i valori della lotta partigiana, né quelli del socialismo, né del pacifismo, ma solo il risentimento verso l’Italia, percepita ormai come matrigna in aree e strati sociali sempre più vasti, a Sud come a Nord. Ottenendo, alla fine, un curioso effetto paradosso: cacciando il Savoia come simbolo dell’Italia, si riconosce implicitamente la sua Casata come artefice principale dell’unità della Nazione.  Lo stesso ruolo che da settant’anni si sta tentando – invano a quanto pare- di tacere e rimuovere.

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