Oltre il “ricordo”

All 1

Dopo decenni di ignominia negazionista – se non di criminale giustificazionismo – e di ipocrita copertura per politico calcolo di convenienza, il «Giorno del Ricordo» permette il culto ufficiale dei nostri Martiri di Fiume, Istria e Dalmazia. E anche suggerisce sentimenti di recriminazione e di rimorso per il troppo poco, o il nulla, che abbiamo riservato agli Esuli che cercavano nell’Italia libera un grembo di materna accoglienza.

Ma ci invita anche, questo Giorno di tristezza, a non permettere che la celebrazione si racchiuda in se medesima e divenga viatico per l’arrendevole sepoltura di un passato sempre più lontano e sempre meno testimoniato dai Superstiti che si assottigliano, inesorabilmente. Perché affida all’ora presente il compito di costruire il futuro relazionale dell’Italia con le terre perdute senza più indulgere alle suggestioni dell’ “opportuno secondo prudenza” per invece procedere dal “necessario secondo verità e giustizia”.

Anzitutto, allora, dobbiamo chiarire il nostro “dover essere” nei confronti dei Croati e degli Sloveni.

In proposito va accolto il ricorrente invito a non coltivare il rancore nei loro confronti, a non far rimbalzare sui figli e sui figli dei figli le urla dei Martiri. E ciò non (o non solo) per virtù di cristiano perdono. E neppure perché i signori delle foibe sono stati ormai giudicati dal Tribunale di Dio. Bensì perché un altro Tribunale, quello della Storia, sta asseverando come i titini non potessero avere discendenza di Popolo; ma solo travaso di continuità nel ristretto solco del loro fanatismo ideologico: che l’Umanità tuttavia, guidata dalla Provvidenza, ha ormai relegato tra gli incubi del tempo che fu. Forse ancora non è arrivata, sul punto, una definitiva sentenza, ma non mancano le convincenti prove di un’istruttoria orami al termine. Sicché possiamo assumere – e specie per merito di Klinger, il massimo storico in materia, che scrisse anche su Opinioni Nuove, da poco misteriosamente assassinato – come quegli aguzzini non fossero né Sloveni, né Croati, ma soltanto Comunisti. Così come possiamo dire per chi li supportava in Italia: che non era Italiano, ma esclusivamente Comunista. Le loro turpitudini non venivano perpetrate per le nazioni di provenienza, e neppure per la costruzione dell’assurda ed effimera Jugoslavia: ma per Tito, per la sua satrapia di sangue. E i loro eccidi volevano certamente essere occasione di pulizia etnica, ma per incidens: perché non prevaleva l’intento di eliminare gli italiani, ma di far scomparire chiunque, italiano, sloveno, servo o croato fosse reo di «non Comunismo» e perciò anche solo virtualmente pericoloso.

I Popoli che attualmente abitano e governano le nostre terre non vanno, dunque, considerati eredi di ascendenti criminali, bensì piuttosto, anche loro, di vittime innocenti: e li dobbiamo avvicinare per innalzare assieme un muro di intolleranza contro ogni pericolo di barbaro ritorno. Non senza, poi, anche considerare come, forse fra non molto, li troveremo alleati – per così rinnovare le imprese della Serenissima – nel tentativo di fermare l’invasione dell’Islam che sempre più incombe sulla famiglia europea.

In secondo luogo dobbiamo sfatare una leggenda menzognera.

Deve emergere la Verità sul residuale pregiudizio che ancora “distingue” gli italiani che fuggirono il Comunismo da quelli che rimasero ad incontrarne l’invasione. Essendo scontato come i primi non fossero “tutti dei fascisti”, bensì piuttosto una legione, desiderosa di libertà, che non voleva vivere sotto la rossa bandiera; bisogna analogamente riconoscere come non tutti gli altri vedessero in Tito “il sole dell’avvenire” e aspirassero a recepirne il dispotismo. Perché molti di loro rimasero per lo strazio di non abbandonare i propri luoghi, per non scindere gli affetti, per non lasciare gli ancoraggi delle famiglie: o perché non avevano la forza di farlo.

In terzo luogo dobbiamo far fiorire le Pietre di Roma e di Venezia che sono rimaste lì a testimoniare l’invincibile dell’Italia: e orgogliosamente sfidano i secoli, senza cedere agli stessi eventi della Storia.

Per attendere – come a missione più che a impegno – a quest’ultima necessità, dobbiamo creare vincoli sempre più stretti proprio “con chi è rimasto lì” e con i loro figli: con quelli, soprattutto, che pur con diversa cittadinanza, certamente sono italiani di nazionalità, per quanto condividono, oltre la lingua di Dante, la derivazione dalle stesse nostre radici, dalla tramandata cultura di principi supremi e perenni.

A questi italiani dobbiamo offrire aiuto per la difesa e il progresso dei loro diritti di minoranza. A questi italiani dobbiamo chiedere aiuto per significare il valore delle antiche Pietre. Cominciando da quelli di noi che si fanno imponente popolo di vacanzieri sulla loro sponda dell’Adriatico: che soggiornano in Croazia o a Rijeka e non sanno dove siano Fiume Istria e Dalmazia, o visitano l’«isola di Tito» e non vanno a Brioni; che si meravigliano perché incontrano tanti campanili “precisi” a quello di San Marco, o si chiedono chi abbia messo lì tanti leoni alati e perché mai; che se la bevono se gli dicono che l’arena di Pola è opera dei proto-croati o magari credono che sia un’opera insigne (pur bisognosa di restauro) dei compagni architetti.

Si tratta di compito difficile, anzi arduo, al quale Opinioni Nuove Notizie intende dare, per quanto nelle sue possibilità, il proprio contributo con specifiche iniziative. Di una di queste che è in preparazione, e vuole essere un po’ più di un sassolino nello stagno, daremo presto notizia.

 

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